lunedì 24 ottobre 2016

SCEGLI UN LAVORO CHE AMI!


Se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l’amare il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra. Ma questa è una verità che non molti conoscono.” Primo Levi.
La parola lavoro deriva dal latino “labor” che vuol dire “fatica, sforzo“. Quindi il lavoro è connesso a sentimenti negativi, come un giogo che siamo costretti a portare per sopravvivere, per garantirci sussistenza economica ed al contempo una posizione, con il relativo riconoscimento sociale.
Il lavoro al contempo caratterizza fortemente la nostra identità sotto forma di etichetta di ruolo con cui ci presentiamo agli altri…e a noi stessi! Inoltre dedichiamo ad esso la maggior parte del nostro tempo…della nostra vita!
Eppure, dopo aver fatto tanta fatica per la sua ricerca, dopo essere sopravvissuti ai gironi dei lavoretti, degli stage e dei vari contratti (pur avendo magari conquistato l’agognato “T.I.”, il contratto a tempo indeterminato), quello che abbiamo in mano è nella maggior parte dei casi un lavoro che non ci appassiona e non ci realizza, in un ambiente stressogeno, ipercompetitivo, soffocante…
Ne vale la pena? è questo che vogliamo davvero essere? davvero questa è la sola strada percorribile?
E anche se il percorso fosse difficile, anche se inseguire i nostri sogni sembrasse una mission impossible…non ne varrebbe forse la pena? quanto ne guadagnerebbe la nostra vita?!
Capiamo qual è il nostro sogno, qual è la nostra passione più grande, quella che porteremmo avanti anche gratis, che ci piace così tanto che non ci affatica e che non smetteremmo di fare: prendiamo questa passione e mettiamola al centro della nostra vita!
Sì, è possibile trasformare la propria passione in lavoro, ossia in fonte non solo di realizzazione personale ma anche di guadagno!
Concretizziamola in obiettivi specifici e graduali, che ci portino a raggiungerla!
Non sarà facile da compiere, come tutte le grandi missioni, ma ne varrà assoliutamente la pena!
E quindi…rimbocchiamoci le maniche, raccogliamo informazioni sulla professione che ci appassiona, acquisiamo quelle conoscenze che ci permettano di crearla, facciamo prove…ed errori, tentativi, sperimentiamoci, ma non smettiamo mai di cercare e di provare!
A presto!
Citywin Staff

giovedì 20 ottobre 2016

alzarsi la mattina..CON IL BUON UMORE!


Durante il sonno non possiamo controllare le emozioni che proviamo, quindi solo quando ci svegliamo abbiamo la possibilità di riprendere il controllo su noi stessi. E non importa che giorno della settimana è: che sia una domenica o un lunedì, la cosa importante è il nostro atteggiamento. È fondamentale affrontare le prime attività quotidiane con una carica di buon umore.
Non dimenticate, infatti, che il nostro umore mattutino potrebbe determinare l’andamento dell’intera giornata, perché è di prima mattina che determiniamo la nostra predisposizione rispetto alle attività che dobbiamo svolgere. Proprio per questo motivo oggi vi proponiamo una serie di passaggi che potete compiere per affrontare l’inizio di una nuova giornata con il maggior entusiasmo possibile.

Consigli per svegliarsi di buon umore

Il malumore mattutino è un problema difficile da risolvere, oltre a essere un fattore che può condizionarci molto. Tuttavia, possiamo cercare di affrontarlo nel miglior modo possibile, stabilendo una routine di buone abitudini.
  • La sveglia è un elemento fondamentale. C’è di tutto: chi la punta due ore prima, chi la mette sotto il cuscino, chi la rimanda ogni 10 minuti… È la piccola routine della sveglia, ma molto spesso ci dimentichiamo che questo oggetto ha una funzione ben precisa. Una buona idea affinché il suo utilizzo abbia un senso e smetta di irritarci ripetendo in continuazione quel suono fastidioso è posizionare la sveglia lontano dal letto, in modo da obbligarci ad alzarci per spegnerla.
  • Sbattete le palpebre più volte. Se siete una di quelle persone che fanno moltissima fatica ad aprire gli occhi di mattina, un trucco efficace è quello di sbattere velocemente le palpebre.
  • Preparate tutto prima di andare a dormire. Se fate fatica ad alzarvi e vi mette di cattivo umore dover preparare tutto quando siete mezzo addormentati, una buona idea è lasciare tutto pronto prima di andare a letto. Così eviterete di correre e, inoltre, avrete meno pensieri per la testa da appena svegli.
  • La colazione è il pasto più importante della giornata, non potete uscire di casa senza averla fatta.È dimostrato che, quando facciamo una colazione adeguata, mangiando a sufficienza e prendendoci il giusto tempo, la nostra giornata è molto più produttiva rispetto a quando non la facciamo.Ricordate le cose belle del giorno prima e potenziate la sensazione di benessere. Se ci versiamo il caffè addosso, la sveglia non suona, arriviamo in ritardo al lavoro o ci accadono altri imprevisti che corrono il rischio di rovinarci la giornata, può essere una buona idea ricordare cosa ci ha fatto stare bene qualche ora prima e concentrarci su quella sensazione positiva per non lasciarci invadere dalla negatività.
Utilizzate i nostri consigli!
A presto!
Citywin Staff

lunedì 17 ottobre 2016

RESILIENZA



La resilienza è la capacità di autoripararsi dopo un danno, di far fronte, resistere, ma anche costruire e riuscire a riorganizzare positivamente la propria vita nonostante situazioni difficili che fanno pensare a un esito negativo. 
ciò che non lo uccide, lo rende più forte.
(Friedrich Nietzsche)

Resilienza nella storia

Fin dalle epoche più remote, gli esseri umani si sono distinti per la capacità di sopravvivere a disastri naturali, guerre, e a ogni sorta di carestia o malattia. Ciò è stato possibile perchè l’uomo è “programmato” per resistere alle sventure, superarle, e convivere quotidianamente con lo stress, al punto che si potrebbe dire che l’abilità di combattere e rialzarsi  più forti di prima (piuttosto che la fragilità) è la regola nel mondo umano.
La necessità di combattere ha la sua ragion d’essere nell’inevitabilità delle sconfitte, delle delusioni e dei conflitti quotidiani, fino a quegli sconvolgimenti esistenziali, come una violenza o la perdita di una persona cara, che, spezzando un equilibrio preesistente, pongono colui che li ha subiti di fronte a una serie di interrogativi: Perché proprio a me? Che senso ha quanto mi è accaduto?
Domande da cui non è possibile sfuggire: solo cercando una risposta chiarificatrice, un senso, seppur a volte mai definitivamente compiuto, è possibile infatti ridefinire la propria sofferenza, che, al di là del dolore gratuito, può essere vista come un valore aggiunto, e fonte di maggiore sensibilità verso le bellezze dell’esistenza, nonchè per le sofferenze altrui.
Se è vero che certe ferite non si rimargineranno mai completamente, qualunque trauma, se non vissuto passivamente come punizione o negazione della felicità, può rappresentare, nel suo accadere repentino e imprevedibile, un’occasione di realizzazione superiore, al pari della condizione del cigno che si è sviluppato a partire dal brutto anatroccolo della nota favola di Andersen (Cyrulnik, 2002).
Le difficoltà quindi come opportunità, come sfida, che mobilita le proprie risorse, sia interne che esterne, una sfida dalla quale non ci si può esimere, in nome del raggiungimento di un equilibrio più funzionale.
Affrontare le inevitabili calamità della vita mette in moto un’abilità nota come resilienza, termine ripreso dall’ambito ingegneristico per indicare la capacità di un materiale di resistere a un urto improvviso senza spezzarsi (De Filippo, 2007). La sua azione può essere paragonata a quella del nostro sistema immunitario chiamato a proteggerci dalle aggressioni esterne.

 

Definizione di Resilienza

La resilienza è in altri termini la capacità di autoripararsi dopo un danno, di far fronte, resistere, ma anche costruire e riuscire a riorganizzare positivamente la propria vita nonostante situazioni difficili che fanno pensare a un esito negativo. 
Essere resilienti non significa infatti solo saper opporsi alle pressioni dell’ambiente, ma implica una dinamica positiva, una capacità di andare avanti, nonostante le crisi, e permette la costruzione, anzi la ricostruzione, di un percorso di vita. Si tratta di un dono inestimabile, che permette di superare le difficoltà, ma che non rende invincibili, e non è neppure presente sempre e comunque: possono infatti verificarsi momenti in cui le situazioni sono troppo pesanti da sopportare, generando un’instabilità più o meno duratura e pervasiva. Non esistono i Superman, e non si è dei supereroi per il solo fatto di essere stati resilienti in passato, anche se è indubbio che la forza delle battaglie superate predispone l’individuo a lottare con maggior consapevolezza (dei rischi assunti e della probabilità di riuscita).
Gli individui resilienti hanno, insomma, trovato in se stessi, nelle relazioni umane, e nei contesti di vita, quegli elementi di forza per superare le avversità, definiti fattori di protezione contrapposti ai fattori di rischio, che invece diminuiscono la capacità di sopportare il dolore.

Fattori di rischio per la Resilienza

Tra i fattori di rischio che espongono a una maggiore vulnerabilità agli eventi stressanti, diminuendo la resilienza, secondo Werner e Smith (1982) troviamo i fattori emozionali (abuso, bassa autostima, scarso controllo emozionale), interpersonali (rifiuto dei pari, isolamento, chiusura), familiari (bassa classe sociale, conflitti, scarso legame con i genitori, disturbi nella comunicazione), di sviluppo (ritardo mentale, disabilità nella lettura, deficit attentivi, incompetenza sociale).

Fattori protettivi per la Resilienza

Tra i fattori protettivi, invece, gli autori ne individuano di individuali e familiari. Tra i primi, l’essere primogenito, un buon temperamento, la sensibilità, l’autonomia, unita alla competenza sociale e comunicativa, l’autocontrollo, e la consapevolezza e fiducia che le proprie conquiste dipendono dai propri sforzi (locus of control interno). A questi si aggiunge una risorsa di estrema importanza: il comportamenti seduttivo, che consente di essere benvoluti e di riconoscere e accettare gli aiuti che vengono offerti dall’esterno.
I fattori protettivi familiari comprendono l’elevata attenzione riservata al bambino nel primo anno di vita, la qualità delle relazioni tra genitori, il sostegno alla madre nell’accudimento del piccolo, la coerenza nelle regole, il supporto di parenti e vicini di casa, o comunque di figure di riferimento affettivo.
Esplorando i fattori protettivi, è possibile individuare cinque componenti che contribuiscono a sviluppare la resilienza (Cantoni, 2014).

I 5 componenti che sviluppano la Resilienza

1. L’Ottimismo. La disposizione a cogliere il lato buono delle cose, è un’importantissima caratteristica umana che promuove il benessere individuale e preserva dal disagio e dalla sofferenza fisica e psicologica. Chi è ottimista tende a sminuire le difficoltà della vita e a mantenere più lucidità per trovare soluzioni ai problemi (Seligman, 1996).
2. L’autostima si accoppia all’ottimismo. Avere una bassa considerazione di sé ed essere molto autocritici, infatti, conduce a una minore tolleranza delle critiche altrui, cui si associa una quota maggiore di dolore e amarezza, aumentando la possibilità di sviluppare sintomi depressivi.
3. La Robustezza psicologica (Hardiness). Essa è a sua volta scomponibile in tre sotto-componenti, il controllo (la convinzione di essere in grado di controllare l’ambiente circostante, mobilitando quelle risorse utili per affrontare le situazioni), l’impegno (con la chiara definizione di obiettivi significativi che facilita una visione positiva di ciò che si affronta) e la sfida, che include la visione dei cambiamenti come incentivi e opportunità di crescita piuttosto che come minaccia alle proprie sicurezze.
4. Le emozioni positive, ovvero il focalizzarsi su quello che si possiede invece che su ciò che ci manca.
5. Il supporto sociale, definito come l’informazione, proveniente da altri, di essere oggetto di amore e di cure, di essere stimati e apprezzati. E’ importante sottolineare come la presenza di persone disponibili all’ascolto sia efficace poichè mobilita il racconto delle proprie sventure.Raccontare è liberarsi dal peso della sofferenza, e l’accoglienza gentile e senza rifiuti o condanne da parte degli altri segnerà il passaggio da un racconto tutto interiore, penoso e solitario (che può sfociare in forme di comunicazione delirante) alla condivisione partecipata dell’accaduto.
In definitiva, ciò che determina la qualità della resilienza è la qualità delle risorse personali e dei legami che si sono potuti creare prima e dopo l’evento traumatico. Parlare in termini di resilienza vuol dire modificare lo sguardo con cui si leggono i fenomeni e superare un processo di analisi lineare, di causa ed effetto, per cui non è più corretto ragionare dicendo per esempio: “E’ stato gravemente ferito, quindi è spacciato per tutta la vita!”

Il profilo della Resilienza

Se volessimo tracciare un profilo della persona resiliente, questa dovrebbe possedere le seguenti caratteristiche:
– Sopporta i dolori senza lamentarsi e regge le difficoltà senza disperarsi;
– Ha il coraggio di intraprendere con consapevolezza una via che sa essere tortuosa o, comunque, non la più semplice;
– Ama la vita per quello che è nel presente, e coltiva una propria spiritualità e virtù che moderano i timori di morte;
 Ricorda di essere esposta al pericolo in quanto mortale, e nel contempo affronta ciò che lo ostacola per cercare di superarlo con saggia audacia.

A presto!

lunedì 10 ottobre 2016

3 curiosità su...Leonardo da Vinci!




Ragazzi!
In questo articolo vi racconteremo alcune curiosità su Leonardo da Vinci:

SCOPRÌ L’ETÀ DELLE PIANTE
Se oggi prendessimo un bambino di 10 anni e, ponendolo davanti ad un tronco di albero tagliato, gli chiedessimo a cosa servano tutti quei cerchi, ci risponderebbe sicuramente che indicano l’età della pianta.
Alla fine del 1400 questa non era una nozione conosciuta.
Leonardo fu, infatti, il primo ad osservare gli anelli di accrescimento delle piante. In seguito ebbe l’intuizione di capire che, contando gli anelli, si potesse risalire all’età dell’albero.
Sulla base di questa scoperta sono nate molte scienze, la più recente delle quali è la dendroclimatologia.
Quest’ultima è una branca della paleoclimatologia e si occupa di risalire a particolari eventi climatici verificatisi nella storia attraverso lo studio della formazione degli alberi.
ERA VEGETARIANO
Il suo amore per la natura e per gli animali non si fermava solo all’osservazione e alla rappresentazione grafica delle loro forme. A tal proposito Andrea Corsali, navigatore toscano, in una lettera a Giuliano de’ Medici, scrive così: “Alcuni gentili chiamati Guzzarati non si cibano di cosa alcuna che tenga sangue, né fra essi loro consentono che si noccia ad alcuna cosa animata, come il nostro Leonardo da Vinci”.
Leonardo era inoltre un animalista, si batteva addirittura per la libertà degli animali. Sembra infatti che andasse spesso al mercato e aprisse le gabbie degli animali, liberando così gli uccelli già pronti per essere venduti.
Se tutto questo è vero, possiamo affermare ancora una volta che Leonardo fu un precursore: animalista e vegetariano in anticipo rispetto ai tempi!
LA GIOCONDA NON FU RUBATA
La Gioconda è senza dubbio il ritratto più famoso al mondo.
Nonostante l’artista consigliasse sempre di dipingere su legno di noce, questo venne realizzato su una tavola di pioppo.
Chi fosse in realtà la donna ritratta ancora non ci è dato saperlo; gli studiosi hanno a lungo cercato di dare un nome certo a questo volto ma, al momento, l’attribuzione più valida è quella del Vasari. Giorgio Vasari, pittore e storico dell’arte vissuto nel 1500, scrive nel suo trattato (Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri, pubblicato nel 1550) che la donna ritratta da Leonardo è Lisa del Giocondo, da cui poi deriva il nome La Gioconda.
Su questo quadro, dipinto nel 1503 e non firmato dall’autore, si sono dette molte cose. L’elemento che più attira l’attenzione dei curiosi è il famoso sorriso; dalle recenti analisi radiografiche è emerso che l’attuale sorriso della Gioconda è solo un ripensamento. La prima versione, infatti, vedeva la donna ritratta con una piega della bocca molto più severa. Solo in un secondo tempo Leonardo avrebbe, quindi, modificato la sua espressione dipingendo il sorriso che avrebbe fatto storia.
Altra leggenda molto diffusa è che il quadro sia stato rubato in Italia e portato nel Louvre dai napoleonici. Le razzie da parte dei soldati francesi avvennero davvero, tanto che nel 1815 Papa Pio VII incarica Canova di recarsi a Parigi per riportare in Italia le opere trafugate, ma queste non riguardarono la Gioconda. Fu Leonardo stesso a portarla in Francia; nel 1517 partì da Roma per raggiungere la corte del Delfino di Francia e portò con se la tavola della Gioconda.
Alcune carte attestano che il dipinto fu in seguito acquistato da Re Francesco I di Francia, che lo pagò profumatamente. Il Re, infatti, pagò ben quattromila scudi d’oro, l’equivalente di due anni dello stipendio di Leonardo!
Negli anni successivi venne spostata di sede diverse volte. Luigi XIV la fece trasferire a Versailles e dopo la rivoluzione francese venne portata per la prima volta al Louvre. Napoleone Bonaparte volle portare il dipinto nella sua camera da letto e successivamente tornò per la seconda volta al Louvre. Durante la guerra Franco-Prussiana del 1870-1871 fu messa al riparo e, una volta tornata la pace, tornò definitivamente al suo posto nelle sale del museo.

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martedì 4 ottobre 2016

10 COSE DA SAPERE SU EINSTEIN...


1. Non era una capra in matematica
Leggenda vuole che il giovane Einstein a scuola andasse malissimo in matematica.

Una parabola edificante di redenzione che è stata propinata a generazioni di studenti in difficoltà con le materie scientifiche, che (purtroppo per loro) non contiene un briciolo verità. A Monaco, dove studiò fino all’età di 15 anni, Einstein aveva buoni voti, soprattutto in matematica. A 16 anni, è vero, fallì il test di ingresso per il Politecnico di Zurigo, ma ottenendo comunque il massimo dei voti in fisica e matematica. Quando, anni dopo, ad Einstein arrivò la voce dei suoi pessimi risultati giovanili in matematica, il fisico rispose: “Non ho mai avuto problemi in matematica. A 15 anni sapevo svolgere perfettamente il calcolo differenziale e gli integrali”.
2. La figlia segretaNel 1903 Albert Einstein sposò la compagna di studi Mileva Marić, da cui ebbe due figli: Hans Albert, nato nel 1904, che sarebbe diventato un importante ingegnere, ed Eduard, nato nel 1910, che ebbe una vita travagliata, in cui lottò per anni con la schizofrenia.
Questo almeno è quello che si sapeva della vita privata di Einstein fino al 1987, quando venne pubblicato un carteggio privato con l’ex moglie, da cui si scoprì che la coppia aveva avuto una figlia illegittima un anno prima del matrimonio, che venne presa in carico dai nonni materni subito dopo il parto. Il destino della bambina è ancora oggi sconosciuto, anche se alcuni storici ritengono che sia morta di scarlattina in tenera età, mentre per altri sarebbe stata data in adozione.

3. Respinto dall’accademia
Einstein non era un pessimo studente come vuole la leggenda, ma aveva effettivamente dei problemi in campo scolastico. Una personalità ribelle e un forte rifiuto per l’autorità lo accompagnarono lungo tutto il periodo degli studi, al termine del quale, nonostante gli ottimi voti, fu l’unico tra i diplomati del suo anno a non ottenere un posto da assistente al Politecnico di Zurigo. Einstein fu quindi costretto a trovare lavoro presso l’ufficio brevetti di Berna, un lavoro umile che gli garantiva però sufficiente tempo libero per portare avanti le sue ricerche. Nel 1905 arrivò quindi il suo annus mirabilis, in cui pubblicò quattro articoli che rivoluzionarono il mondo della fisica. Nonostante questo, passarono altri quattro anni (dieci dalla sua laurea) prima che gli venisse proposto un posto da professore universitario.
4. Che fine ha fatto il premio Nobel?
Nel 1910 si concluse la relazione tra Albert e la prima moglie, e lo scienziato iniziò una relazione con la cugina Elsa, che lo avrebbe accompagnato per il resto della vita. Tra le clausole del divorzio, ottenuto solamente nel 1919, Einstein promise alla ex moglie una piccola rendita mensile, da integrare con il premio in denaro che avrebbe guadagnato in caso di vittoria del Nobel. Non c’era alcuna avvisaglia all’epoca che Einstein avrebbe realmente vinto il Nobel, ma questo arrivò realmente pochi anni dopo, nel 1922, e Mileva Marić come da accordi si vide recapitare una piccola fortuna.
5. Tutto merito di un’eclissi
La teoria della relatività generale venne pubblicata nel 1916, ma non ebbe da subito il successo che conosciamo oggi. Molti fisici dubitavano infatti delle formule di Einstein, e continuarono a farlo fino al 1919. In quell’anno ci fu un’eclissi totale di Sole, e l’astronomo inglese Arthur Eddington ne approfittò per fotografare il fenomeno, e calcolare l’effetto della gravità del Sole sulla luce delle stelle. I suoi risultati confermarono le previsioni di Einstein, obbligando il mondo della fisica ad accettare la nuova teoria, e rendendo lo scienziato una celebrità di calibro mondiale.
6. Spiato dall’Fbi
Einstein si trasferì negli Stati Uniti nel 1933, iniziando a lavorare come professore presso l’ Institute for Advanced Study di Princeton. All’epoca era già famoso per le sue idee pacifiste e per il supporto dato ai movimenti per i diritti civili, e fu da subito bollato come comunista dall’Fbi. Per 22 anni, gli agenti del Bureau non si arresero, e spiarono meticolosamente la vita dello scienziato, ascoltando le sue telefonate, aprendo la sua corrispondenza, e controllando persino la sua spazzatura. Per un periodo, l’Fbi indagò persino la possibilità che il fisico stesse costruendo un raggio della morte per conto dei sovietici. La sorveglianza si fermò solo alla sua morte, nel 1955, quando il fascicolo relativo ad Einstein aveva raggiunto ormai le 1.800 pagine di lunghezza.
7. La bomba atomicaAlla fine degli anni ’30 Einstein venne a sapere che gli scienziati del Reich stavano lavorando alla bomba atomica. Messo da parte il suo pacifismo scrisse quiondi una lettera al presidente Roosvelt, incitando gli Stati Uniti a condurre ricerche nel campo per ottenere l’arma prima dei nazisti. Einstein non partecipò mai in alcun modo al progetto Manhattan, ma nei decenni seguenti si pentì fortemente del piccolo ruolo giocato nello sviluppo delle bombe atomiche, e pochi mesi prima della sua morte scrisse insieme al filosofo Bertrand Russell un documento noto come Manifesto Russel-Einstein, in cui si ricordavano i pericoli legati agli armamenti atomici, e si chiedeva a tutti i governi del mondo di “trovare metodi pacifici per risolvere le dispute tra loro”.
8. Presidente di Israele
Einstein non fu mai particolarmente religioso, né appoggiò più di tanto il movimento sionista. Le sue radici ebraiche però furono sempre particolarmente importanti per lo scienziato. Alla morte del primo presidente di Israele, nel 1952, il governo offri ad Albert Einstein l’opportunità di divenire il secondo presidente della nazione. Una proposta che Einstein declinò gentilmente, dichiarando: “Per tutta la vita mi sono occupato di questioni oggettive. Per questo mi mancano sia l’attitudine naturale sia l’esperienza per trattare con le persone e per esercitare una funzione ufficiale”.
9. Il cervello rubatoAlla sua morte, nel 1955, Einstein chiese che il suo corpo venisse cremato. Thomas Harvey, patologo di Princeton che praticò l’autopsia sul cadavere dello scienziato, rimosse però il suo cervello, sezionandolo in 170 fette per poi conservarlo. Non aveva ricevuto nessuna autorizzazione per farlo, e si trattò quindi di un furto di cervello (restituito anni dopo), ma quando la famiglia scoprì cosa era avvenuto autorizzò, con una certa riluttanza, che il cervello fosse utilizzato per studiare l’origine della straordinaria intelligenza di Albert Einstein. Nei decenni seguenti l’organo è stato soggetto di diversi studi, nessuno dei quali ha portato a risultati definitivi.
10. Teoria unificataNella seconda parte della sua vita, Einstein lavorò incessantemente alla creazione di una teoria unificata, che combinasse la spiegazione della gravità e dell’elettromagnetismo. Una teoria che, sperava il grande scienziato, avrebbe aiutato a risolvere quelli che lui vedeva come i paradossi della fisica quantistica. A questa teoria Einstein non arrivò mai, ma continuò a lavorarci testardamente fino alla morte. Poche ore prima di soccombere ad un aneurisma dell’aorta addominale, stava ancora lavorava alle sue ultime equazioni, le cui scansioni sono disponibili nell’archivio online della Hebrew University di Gerusalemme.
A presto!
Citywin Staff!
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