mercoledì 26 aprile 2017

Caffè e sigaretta: ecco perché vanno a braccetto!



"I più accaniti fumatori consumano anche più tazzine: una variante genetica potrebbe essere all'origine del legame, e spiegherebbe parte delle difficoltà che incontra chi vuole smettere.

Per molti è l'accoppiata irrinunciabile della pausa dal lavoro: caffè e sigaretta, non necessariamente in quest'ordine. Soltanto una semplice (e dannosa) abitudine? Forse no. La nicotina contenuta nelle sigarette potrebbe influenzare il modo in cui il nostro corpo metabolizza la caffeina e dunque fumare aumenterebbe il desiderio di caffeina
È la conclusione a cui è giunto uno studio condotto su 250 mila fumatori: fumare aumenterebbe il desiderio di caffeina, perché cambia il modo in cui si metabolizza questa sostanza e fa sì che ne occorra di più per sentirsi svegli.

COME È STATO SVOLTO LO STUDIO. Gli studi controllati sugli effetti del fumo sono sempre più difficili da svolgere, perché chiedere a volontari di fumare per il bene della scienza non sempre è eticamente accettabile. Così Marcus Munafò dell'Università di Bristol, UK, ha deciso di ricorrere ai dati su migliaia di fumatori già immagazzinati in archivi sulla salute di Gran Bretagna, Danimarca e Norvegia. In particolare si è interessato alle persone in possesso di una variante genetica nota per essere correlata a un maggiore consumo di sigarette
 
UNA COSA TIRA L'ALTRA. Chi ha ereditato questa variante - rivelano i dati - consuma anche più caffè, ma soltanto quando fuma. Negli inglesi fa aumentare anche il consumo di tè, ma questa è più che altro una differenza culturale.

«Estrapolando si potrebbe dire che se una persona fuma 10 sigarette al giorno più di un'altra, consumerà anche l'equivalente di una tazzina e mezza di caffè in più al giorno» commenta Munafò.

A SENSO UNICO. Andando un po’ più nello specifico il ragionamento si complica, dunque seguitelo con attenzione. La relazione ipotizzata dai ricercator va necessariamente dalla variante genetica alla nicotina, e da questa alla caffeina: l'alterazione codifica infatti per un recettore della nicotina, che non ha relazioni note con la caffeina. Le informazioni che abbiamo non fanno quindi pensare a una relazione di tipo inverso (cioè che sia invece la caffeina a far venire voglia di nicotina). 

NE SERVE ANCORA. Può darsi che la nicotina renda l'organismo dei fumatori più rapido nel metabolizzare la caffeina. E che quindi serva una dose extra di espresso per ottenere lo stesso effetto cercato dai non fumatori. Certo può anche darsi che chi fuma tenda ad abbinare a questo gesto, per abitudine, anche un caffè; o che tra le due cose ci sia qualche funzione poco nota di questa variante genetica.

DOPPIA TRAPPOLA. Il legame sigaretta-caffè potrebbe rendere le cose ancora più difficili a chi decide di smettere di fumare. Se si smette con il fumo ma si continua con la stessa dose di caffè, più difficile da metabolizzare, l'effetto potrebbe essere il nervosismo, attribuito a quel punto - a torto - all'astinenza da nicotina."

giovedì 20 aprile 2017

Le persone creative vedono il mondo diversamente...



"La curiosità e la tendenza ad aprirsi a nuove esperienze sembrano connesse a un'esperienza percettiva diversa da quella comune. Il cervello "vede" possibilità che di solito sfuggono.


Chi è tendenzialmente più aperto a nuove esperienze potrebbe avere una visione del mondo più ricca e articolata della norma. Il cervello di chi vanta questo tratto di personalità sarebbe capace di "far passare" una frazione più ampia di informazioni visive rispetto a quanto avviene di solito, come un cancello che rimanga spalancato più a lungo: è quanto si apprende da un recente studio australiano.

INTELLIGENZA FLUIDA. L'apertura mentale è uno dei tratti verificati nei test di personalità, ed è caratterizzata da curiosità, ampiezza di interessi e creatività, per esempio nel trovare nuove soluzioni a problemi o nuovi utilizzi per gli oggetti di tutti i giorni.

UN VENTAGLIO PIÙ AMPIO. Passati esperimenti hanno dimostrato che le persone mentalmente aperte hanno anche una migliore consapevolezza visiva - intesa come capacità di percepire i dettagli in immagini complesse. Ora, gli scienziati dell'Università di Melbourne hanno provato che il loro cervello "vede" più possibilità, come se in essi, l'asticella della coscienza fosse più alta, e il filtro percettivo meno serrato.

NE BASTA UNA. Un gruppo di 123 studenti ha completato un test di rivalità binoculare, in cui a ciascun occhio viene mostrata un'immagine di diverso colore. In genere, se le immagini sono diverse, il cervello preferisce sceglierne una e sopprimere l'altra, alternando di volta in volta quella su cui concentrarsi.

UN INSOLITO MIX. Ma alcuni volontari hanno sperimentato una forma di percezione mista: hanno visto, cioè, immagini "fuse" di entrambi i colori, rosse e verdi insieme. Questi soggetti sono anche stati quelli che hanno totalizzato punteggi maggiori in apertura mentale nel test di personalità somministrato.

GENIO E SREGOLATEZZA. I risultati potrebbero spiegare perché chi è più aperto e curioso sia spesso anche più creativo. L'abilità nel trovare nuove strade e soluzioni potrebbe essere legata, cioè, anche a un modo diverso di vedere le cose. Allo stesso tempo, si capirebbe perché chi è capace di idee geniali sia sovente più incline a deliri e paranoia - una percezione diversa della realtà potrebbe portare a male interpretare alcuni input, e a sentirsi isolati e non compresi.

ANALOGIE. Per Anna Antinori, a capo dello studio, potrebbero esserci somiglianze tra la percezione di chi ha alti livelli di apertura mentale e quella causata dalla psilocibina, una sostanza con effetti psichedelici contenuta in alcuni funghi allucinogeni. Anche l'esperienza della meditazione, con il tempo, sembrerebbe alzare la soglia delle informazioni visive percepite"

(fonte focus.it)

lunedì 10 aprile 2017

Per un imprenditore, l'azienda è come un figlio!



Letteralmente: lo dimostrano le scansioni cerebrali!

Si dice che le idee siano "partorite" e poi accudite come proprie creature: ora ne abbiamo le prove scientifiche. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Human Brain Mapping, gli imprenditori sperimentano, per il proprio business, un amore simile a quello di un padre per un figlio.

CONFRONTO. I ricercatori della Aalto University di Helsinki hanno misurato intensità di affetto, emozioni positive evocate, vicinanza e fiducia di 21 padri nei confronti dei figli e di 21 imprenditori verso la propria azienda, prima con un questionario e poi sottoponendo i volontari, tutti tra i 25 e i 45 anni, a risonanza magnetica funzionale (fMRI) mentre guardavano foto del proprio pargolo o brand.

OGNI SCARRAFONE... I padri esaminati non erano uomini d'affari, e gli imprenditori non erano businessmen seriali, bensì concentrati sulla crescita di una singola impresa. L'orgoglio, l'amore e la soddisfazione espressi dai padri e dagli imprenditori nei confronti di figli o aziende ha ovviamente surclassato i sentimenti provati per i bambini, o le attività altrui (con gli imprenditori più portati a sopravvalutare la propria "creatura" rispetto ai padri).

giovedì 6 aprile 2017

Occhiali per una visione sovraumana dei colori!


"Un team di scienziati americani ha ideato delle lenti che permettono di vedere anche le minime differenze di tonalità.


A volte ci è impossibile dire se due colori sono differenti: anche se affiancati, ci appaiono identici. Questo fenomeno è noto come metamerismo: una sorta di illusione ottica che induce l'occhio (il cervello) a percepire lo stesso colore in presenza di luce con distribuzione spettrale diversa.

Un team di scienziati della Wisconsin-Madison University, guidati dal fisico Mikhail Kats, ha ideato uno speciale paio d'occhiali che permette di distinguere le tonalità di colore che sarebbero altrimenti impercettibili all'occhio.

L'uomo è dotato di visione tricromatica, basata cioè sulla capacità di percepire il rosso, il verde e il blu. La combinazione di questi tre colori di base ci consente di percepire e distinguere altri colori: è la cosiddetta sintesi additiva dei colori. Ma le capacità visive umane sono limitate e normalmente non siamo in grado di percepire tutte le differenze di colore che pure rientrano nel nostro spettro visivo. Altri animali sono invece dotati di visione tetracromatica, in grado cioè di percepire molte più differenti lunghezze d'onda e di conseguenza più sfumature di colore.

Alcuni scienziati stimano però che anche il 25% della popolazione umana sia tetracromatica. Partendo da questo assunto, Kats si è chiesto se fosse possibile indurre "l'occhio tricromatico" a questo tipo di visione maggiorata. Per costruire gli occhiali speciali, Kats e colleghi hanno allora progettato due diversi filtri, uno per ogni occhio, per potenziare la percezione del colore blu.

I ricercatori hanno testato l'effetto proiettando delle immagini di colori metamerici su pc e tablet. Alle persone che si sono sottoposte al test, i colori sembravano identici: poi venivano fatti indossare gli occhiali, e gli stessi colori diventavano facilmente distinguibili.

Al momento è difficile dire quali potrebbero essere le eventuali applicazioni della ricerca. È possibile che si possa facilmente arrivare al riconoscimento ottico immediato di banconote contraffatte, per esempio, ma anche, in ambito militare, al riconoscimento di camuffamenti e mimetismi."

Per ora è tutto!
Citywin Staff!

lunedì 3 aprile 2017

Gli astrociti? Tengono il tempo nel cervello

"Gli astrociti tengono il tempo nel cervello.


Le cellule a lungo considerate un semplice "supporto" dei neuroni hanno un ruolo determinante nella gestione della clessidra che regola l'orologio biologico.

Un gruppo di cellule un tempo ritenute un semplice "segnaposto" per neuroni avrebbero un ruolo fondamentale nel regolare i ritmi circadiani nel cervello.

Gli astrociti sono cellule della glia, i principali costituenti del sistema nervoso insieme ai neuroni. Sono chiamati così perché, visti al microscopio, sono a forma di stella, e svolgono una funzione nutritiva e di sostegno per i neuroni, isolandoli e proteggendoli da lesioni. Ma uno studio in pubblicazione su Current Biology rivela che non sono semplici "tappabuchi": senza di essi il nostro orologio biologico sarebbe totalmente sballato.

CENTRO DI COMANDO. I ritmi circadiani sono presieduti dal nucleo soprachiasmatico, una regione nell'ipotalamo formata da circa 20 mila neuroni. Ma nella stessa area vi sono anche 6 mila astrociti, il cui ruolo finora non era ben chiaro. Per la prima volta, alcuni neuroscienziati della Washington University di St. Louis sono riusciti a controllare gli astrociti in modo indipendente dai neuroni nei topi, e a far luce sul loro compito.

Già nel 2005 il team, guidato da Erik Herzog, aveva dimostrato che gli astrociti, così come molte altre cellule del corpo umano diverse dai neuroni, includono i geni che regolano i ritmi circadiani. Ma ci sono voluti più di dieci anni per vederli all'opera.

LUCI INTERMITTENTI. Come prima cosa, isolando gli astrociti in campioni di tessuto cerebrale dei topi e contrassegnando un gene implicato nei ritmi circadiani con una proteina luminescente, i ricercatori sono riusciti a osservare le cellule "accendersi" ritmicamente ogni volta che quel gene veniva espresso - la prova che gli astrociti "tengono il tempo" quando interagiscono tra loro e con i neuroni.

UN RUOLO GUIDA. Il secondo passo è stato usare le forbici molecolari CRISPR-Cas9 per cancellare un gene coinvolto nell'orologio biologico, il Bmal1, in topi viventi. Disattivando lo stesso gene nei neuroni, i topi perdono completamente la loro "clessidra" interna, ma non ci si aspettava che succedesse qualcosa anche mettendolo fuori uso negli astrociti. Silenziare questo gene negli astrociti ha avuto l'effetto di rallentare l'attivazione dei topi di un'ora rispetto alla loro rigida routine giornaliera.

Infine, gli scienziati hanno "riparato" gli astrociti - ma non i neuroni - in topi ingegnerizzati per funzionare con ritmi circadiani più rapidi. Ci si aspettava che il nucleo soprachiasmatico degli animali seguisse il ritmo dei neuroni, più numerosi degli astrociti. Invece gli animali con gli astrociti regolati hanno iniziato a correre due ore più tardi degli altri, la prova che gli astrociti avevano comunicato ai neuroni per dettarne ritmi e comportamento.

Anche se il ruolo di queste cellule è ancora da studiare in modo approfondito, ce ne è abbastanza per ritenere siano molto più che un semplice supporto."

E con questo articolo tratto da Focus.it lo staff di Citywin vi ringrazia e vi lascia alla prossima settimana!